Le Comunità Energetiche: un’opportunità per il futuro energetico dell’Italia.
«La transizione energetica, con lo sviluppo delle energie rinnovabili, ha bisogno di investimenti, anche esteri, ma per promuoverli occorrono direttive chiare e certe sull’iter di realizzazione degli impianti. La confusione vissuta con il Superbonus nel susseguirsi di tre diverse legislature e il relativo blocco dei crediti a opere in corso ha creato problemi enormi e ridotto la percezione di affidabilità economica del nostro Paese, soprattutto agli occhi degli operatori esteri, oltre a mettere in difficoltà gli operatori nazionali. Servono trasparenza, stabilità normativa e una comunicazione chiara da parte delle istituzioni. È cruciale poi investire sulla formazione delle figure professionali che gravitano nel settore. Installatori e manutentori sono figure centrali per la transizione energetica del Paese, ma ad oggi la loro presenza è insufficiente a coprire la domanda»: Daniele Iudicone, 46 anni, laurea in gestione d’impresa, è co-founder di Imc Holding, sede a Roma, che opera nel settore luce e gas anche coi marchi Fotovoltaico Semplice (kit residenziale chiavi in mano che impiega moduli fotovoltaici e batterie di accumulo interamente prodotti in Italia) e SuMisura (rivolto alle aziende). Il gruppo è partner di Enel Green Power e lo scorso anno ha fatturato 16 milioni, con 2895 Kw di energia green installati e 70 dipendenti. Adesso è in prima fila nello sviluppo delle comunità energetiche.
Domanda. A che punto sono le comunità energetiche in Italia?
Risposta. Ci sono circa 200 comunità energetiche nel Paese. Alcune sono nate anni fa, sotto forma di cooperative, che condividono l’energia elettrica prodotta da grandi impianti fotovoltaici. Ma occorrerà almeno un anno per vedere realizzati i primi esempi di comunità formulate sulla base del decreto attuativo dello scorso gennaio, destinato ad attrarre nuovi consumatori e nuovi produttori. Già la scorsa estate vi è stata una svolta positiva grazie a questo decreto.
D. Quale ruolo potranno avere le comunità nella transizione energetica?
R. Consentiranno di ridurre i prelievi energetici dalla rete e contrastare la povertà energetica. Costituiscono un’occasione di riscatto per i territori e un modo per favorire l’accettazione, a livello locale, dei grandi poli industriali, che potranno ricambiare l’ospitalità, fornendo in cambio energia pulita. Sulla base delle indicazioni del decreto attuativo di gennaio si potranno raggiungere 12 GW di energia pulita proveniente dalle comunità energetiche da qui al 2030, contribuendo per il 15% circa al raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo del solare fotovoltaico entro i prossimi sei anni.
D. Se abito in un condominio cosa devo fare per partecipare a una comunità energetica?
R. La modalità di autoconsumo collettivo, ovvero la comunità energetica per i condomini, non richiede di rivolgersi al notaio per l’istituzione della comunità e non è richiesta l’approvazione all’unanimità da parte dei condomini per la realizzazione dell’impianto rinnovabile. Le unità immobiliari che decideranno di dotarsi dell’impianto diventeranno prosumer, con il doppio vantaggio di godere di energia pulita a costo zero e guadagnare su quella immessa in rete, oltre agli incentivi del GSE (Gestore Servizi Energetici, soggetto che effettua attività di verifica e controllo. interamente partecipato dal ministero dell’Economia). Nei Comuni fino a 5000 abitanti, grazie ai fondi del Pnrr, è previsto un ulteriore incentivo: 40% a fondo perduto per la realizzazione degli impianti rinnovabili.
D. E se invece faccio parte di un’associazione o altro?
R. Il punto di partenza è sempre la creazione di una comunità energetica aperta a tutti, privati, istituzioni, piccole imprese, associazioni e centri ecclesiastici. Chiunque possieda un’utenza elettrica può accedere alla comunità, come consumatore o come produttore di energia.
D. A quanto ammonta il costo?
R. Il costo dell’impianto varia in base alla potenza installata, vi è da aggiungere la parcella del notaio (un migliaio di euro) e le pratiche di registrazione al GSE (un altro migliaio di euro).
D. Quali sono le regole di una comunità energetica?
R. Deve avere una percentuale del 55% di energia autoconsumata all’interno della rete nelle ore di funzionamento dell’impianto fotovoltaico. La gestione è molte semplice: vengono installati dei meter, sia sull’impianto fotovoltaico, sia sui contatori, che dialogano con il GSE tramite il canale Chain2. Esistono poi delle App che mostrano in tempo reale quanta energia viene prodotta e consumata. Ogni 6 mesi il GSE invia al referente della comunità il resoconto coi relativi incentivi. Spetterà al referente ripartire questi ultimi tra i diretti interessati. Questa operazione può essere svolta in autonomia o avvalendosi di una società esterna.
D. Come risolvere il problema dell’accumulo dell’energia rinnovabile?
R. Il problema dell’accumulo è quasi risolto. Oggi vi sono batterie di accumulo che immagazzinano il surplus energetico prodotto. Pensiamo a tante piccole batterie connesse alla rete elettrica, decentralizzate e dislocate in ogni parte del territorio, non a un’unica gigante cabina di accumulo che graverebbe sulla rete elettrica. Poi nelle comunità il 55% dell’energia prodotta deve essere consumata negli orari in cui gli impianti fotovoltaici sono in funzione. Questo garantisce un’ottimizzazione del consumo, della produzione e dello stoccaggio dell’energia, senza andare a gravare sulla rete e sulle batterie, che saranno cariche il giusto per poter consentire il funzionamento delle utenze nelle ore serali. La comunità energetica crea un match perfetto tra domanda e offerta.
D. Cosa comporta l’ingresso dei grandi gruppi, per esempio l’Enel, nel settore?
R. Grandi e piccoli gruppi hanno interesse ad avere rapporti con le comunità perché nel futuro rappresenteranno una delle modalità più diffuse per il consumo di energia elettrica rinnovabile. I grandi gruppi contribuiranno a dare maggiore visibilità alle comunità e quindi potranno svolgere una funzione di volano.
D. Qual è la situazione negli altri Paesi europei?
R. In molti Paesi sono una realtà consolidata. Il concetto delle comunità proviene da un input della Ue contenuto in una direttiva del 2018 che ne incentiva la creazione. L’Italia è partita in ritardo di qualche anno rispetto agli altri Paesi. Adesso si tratta di recuperare il terreno perso.
D. Perché la liberalizzazione non ha fatto diminuire sensibilmente il prezzo della bolletta energetica?
R. Ciò che impatta davvero sulla spesa totale di famiglie e aziende non è il costo dell’energia acquistata nel libero mercato, al quale le varie utilities applicano un rincaro minimo, bensì gli oneri di trasporto e dispacciamento, oltre alle imposte. Quindi c’è una rigidità di fronte alla quale si ritrovano tutte le compagnie energetiche, indipendentemente dal loro nome o dalla loro grandezza.
Fonte: Italia Oggi